In questo nuovo articolo tratto di un argomento molto dibattuto e delicato: la quantificazione dell’assegno divorzile alla luce del nuovo orientamento successivo alla sentenza di Cassazione a Sezioni Unite nr. 18287/2018.
Questa volta la “fonte” dalla quale attingo per raccontare le novità introdotte è il Convegno A.I.A.F. tenutosi a Rovereto (TN) in data 18 ottobre 2019.
Vediamo ora i punti salienti:
Criterio del “tenore di vita”: è davvero compatibile con i principi di uguaglianza?
Dal divorzio entrambi coniugi escono in qualche modo “sconfitti” e per uno o per entrambi i coniugi questo comporta anche uno svantaggio dal punto di vista economico.
Se entrambe le parti sono in difficoltà economica a seguito del divorzio, non si effettua il successivo calcolo dell’assegno divorzile. Parimenti, lo stesso accade nelle ipotesi in cui gli ex coniugi sono in situazione di equilibrio economico.
I problemi emergono, pertanto, nelle ipotesi in cui a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale una delle parti risulta essere economicamente svantaggiata e richiede un assegno divorzile quale contributo al proprio mantenimento.
Il riconoscimento dell’assegno divorzile trova la sua fonte normativa e disciplina nell’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970.
Fino alla sentenza nr. 18287/2018 la giurisprudenza granitica della Cassazione attribuiva al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio un peso notevole nella quantificazione dell’assegno di divorzio, anzi credo di poter pacificamente affermare che era l’unico criterio concretamente utilizzato e che, per la sua portata, ha creato delle reali situazioni di “adagiamento” da parte dell’ex coniuge economicamente più debole disincentivando lo stesso dal tentare di rendersi autonomo economicamente.
Criticismo a parte, successivamente alla sentenza di cui sopra, gli Ermellini si sono discostati dall’orientamento precedente, non cancellando però del tutto il tanto criticato criterio.
Sul punto sia la Suprema Corte che la Corte Costituzionale, per poter garantire il rispetto del principio di uguaglianza, ritengono che tale criterio deve essere considerato per determinare il “tetto massimo” dell’importo dell’assegno divorzile, ma deve altresì essere calibrato e ridimensionato sulla base di altri elementi quali ad esempio la durata del matrimonio, la capacità economica delle parti, le potenzialità reddituali future delle parti, l’età dell’avente diritto, etc.
Tuttavia, come riscontrato soprattutto in dottrina, l’applicazione di tali criteri non sempre è di agevole portata!
La natura dell’assegno di divorzio
Prima di poter capire quali parametri utilizzare, bisogna individuare la natura dell’assegno divorzile.
Un principio importante affermato dalla sentenza 18287/2018 è dato dal riconoscimento di natura assistenziale, compensativa e perequativa all’assegno divorzile.
Questo di conseguenza implica che, ai fini del riconoscimento dell’assegno, si deve tenere in considerazione un criterio composito che parte dalla valutazione delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dando rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge-richiedente alla formazione del patrimonio comune nonché personale.
Se dal divorzio si determina uno squilibrio significativo – come ad esempio la realizzazione economica di una sola delle parti – allora si applica il criterio perequativo e compensativo.
Cosa significa? Significa, in altri termini, che se l’altro coniuge è rimasto a casa per permettere la realizzazione professionale/lavorativa dell’altro e sviluppare la crescita del ménage familiare, il “sacrificio” effettuato viene in qualche modo compensato, rafforzando in tal modo la sua posizione e l’assegno divorzile, in tali casi, assume la funzione di strumento di protezione della parte economicamente più debole.
Tale criterio composito si basa sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che sussistono anche dopo lo scioglimento del matrimonio e che valorizzano i “sacrifici” effettuati dal coniuge debole in costanza di matrimonio.
Il Giudice dovrà valutare se lo squilibrio era preesistente al matrimonio e se dopo il matrimonio si è addolcito: se l’attribuzione economico-patrimoniale effettuata in costanza di matrimonio è significativa, allora il Giudice potrà ritenere tale attribuzione come compensativa del “sacrificio” per la mancata realizzazione delle aspettative professionali del coniuge. In tali ipotesi, pertanto, non vi è il riconoscimento dell’assegno divorzile.
Alla luce del ragionamento sopra fatto è evidente come il contributo fornito da una parte alla conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni comuni, libere e responsabili e che, consapevolmente o meno, incidono sul profilo economico-patrimoniale di entrambi i coniugi dopo la cessazione del matrimonio.
Cosa fare se l’ex coniuge-richiedente si trasferisce all’estero
Come ho già avuto modo di esplicare in un precedente articolo può accadere che successivamente al divorzio l’ex coniuge (unitamente ai figli qualora ve ne siano) decida di trasferirsi all’estero.
In questo caso è pacifico domandarsi cosa succede all’assegno divorzile.
Sul punto si può stare tranquilli in quanto una sentenza sugli assegni di mantenimento emessa e dichiarata esecutiva in un paese dell’Unione Europea sarà esecutiva in qualsiasi paese dell’Unione, pertanto il diritto a ricevere l’assegno divorzile non viene meno con l’eventuale trasferimento in un altro Stato.
Spunti e punti meramente procedurali:
– L’assegno di mantenimento, oggi per sua natura, è destinato ad un duplice procedimento: il primo per prevederlo/quantificarlo e applicarlo e il secondo per modificarlo o estinguerlo;
– Anticipare la sussistenza o meno dei presupposti per un assegno divorzile innanzi al Presidente del Tribunale è sbagliato;
– L’onere probatorio della insussistenza dei requisiti per chiedere l’assegno divorzile è a carico del coniuge obbligato: chi chiede l’assegno deve, infatti, solo rappresentare l’andamento della vita familiare e il “sacrificio”;
– Le allegazioni vanno fatte e devono essere fatte, per provare i fatti/le scelte della della vita familiare, non si può essere sintetici. Bisogna dimostrare la fotografia della reale vita familiare e delle dinamiche familiari.
– L’utilizzo della cd. “una tantum” (importo versato a favore dell’ex coniuge economicamente più debole in un’unica soluzione come alternativa all’assegno divorzile) è possibile solo su accordo delle parti e, per tale ragione, ad oggi è scarsamente utilizzato.
Sul punto trovo interessante sottolineare che, in caso di “una tantum” in sede di separazione, questa funge da presupposto della possibilità e dell’effettivo riconoscimento anche in sede di divorzio dell’assegno divorzile.
– L’assegno di divorzio si estingue in caso di nuove nozze o convivenza stabile.
In conclusione, anche sulla base degli spunti ottenuti al Convegno A.I.A.F., posso affermare che la sentenza a Sezioni Unite nr. 18278/2018 non solo ha aperto le porte a un nuovo modo di applicare e quantificare l’assegno divorzile, ma la previsione del criterio composito permetterà, col tempo, di raggiungere finalmente l’uguaglianza di trattamento tra ex coniugi.
Alla prossima!